“Women’s Bodies as Battlefields”: Cinzia Canneri e la fotografia come traccia
La semiotica, si sa, si occupa di segni. Non tutti i segni però sono uguali. Alcuni, come le parole o i numeri, si riferiscono al proprio oggetto in maniera del tutto convenzionale; altri invece, chiamati indici, dipendono direttamente da ciò che li ha prodotti.
Una fotografia, scriveva Charles S. Peirce, rientra a buon diritto nel novero degli indici. Come una cicatrice, essa è traccia dell’evento che l’ha prodotta: ci dice che qualcuno, in un dato momento e in un dato luogo, era presente davanti all’obiettivo di una fotocamera.
L’idea della fotografia come traccia ritorna nel progetto fotografico di Cinzia Canneri, vincitrice della sezione Africa per il World Press Photo 2025. Fin dal titolo, “Women’s Bodies as Battlefields” si propone di documentare l’esperienza delle donne eritree che, in fuga dal loro paese verso l’Etiopia, hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze di un regime totalitario.
Hellen, una giovane donna
eritrea, fu aggredita e colpita allo stomaco nel tentativo di passare il
confine per l’Etiopia. La ferita d’arma da fuoco da lei subita è stata
riportata come accidentale, ma è più probabile che la polizia nazionale le
abbia sparato con l’intenzione di punirla. Canneri ne ritrae la pancia che, segnata dalle cicatrici,
si fa carico di un trauma collettivo: il corpo femminile diventa così indice
del conflitto, offrendosi allo sguardo della macchina fotografica come un campo
di battaglia. Non conosciamo il volto di Hellen, ma immaginiamo la sua storia
a partire dalle tracce impresse sulla sua pelle.Figura 1
Se nel caso di Hellen è il corpo a farsi segno, è la sua assenza a spiccare in quest’altra fotografia.
Canneri inquadra
due sedie di legno, sulle quali sono stati lasciati oggetti appartenuti a donne
tigrine tenute prigioniere dalle Forze di Difesa Nazionale Etiope (FDNE)
durante la guerra del Tigrè. La fotografia, scattata all’interno del Martyr’s Memorial Museum di Mekelle, in Etiopia, presentifica l’assenza dei corpi
delle vittime attraverso i loro effetti personali, lasciati lì, come se tutto
fosse appena avvenuto.Figura 2
Davanti all’obiettivo, infatti, non c’è alcun corpo a raccontare la propria storia; rimangono solo le marche del suo passaggio. Le manette, le ciabatte, i pantaloni, e ancora la maglietta, il reggiseno e l’intimo svolgono in fondo la stessa funzione di indice della fotografia che li ritrae: ci dicono che qualcuno, in un dato momento, era lì presente. E che quel qualcuno non è più lì per raccontarlo.
“Women’s Bodies as Battlefields” dà così voce a chi, come Hellen, non avrebbe avuto modo di far conoscere la sua esperienza. Del resto, come diceva Diane Arbus, ci sono “cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate”. E, se questo è vero, è perché la fotografia, prima di tutto, è un indice del nostro vissuto: una testimonianza. L’arte di Cinzia Canneri ne è un chiaro esempio.
Federica Cultrera e Giorgio Fraccon
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