L’Identità e la sopraffazione dell’Altro
È ormai noto come l’Identità si costruisca in relazione all’Altro, sia a livello sociale, tramite un confronto con altre culture, sia a livello individuale, determinando così un bisogno di accettazione e approvazione nei confronti della propria cerchia di appartenenza.
Nelle comunità, l’incontro con l’Altro è spesso caratterizzato da una violenza silente, che si palesa sotto forma di diffidenza: siamo riluttanti ad accettare qualcuno all’interno dei nostri confini culturali. Come affermava Umberto Eco, infatti, nel momento in cui vogliamo consolidare la nostra identità – in questo caso culturale – lo facciamo creando una minaccia esterna, un fronte comune contro un nemico che tende a coincidere con il “diverso”.
Spesso le cause sono da ricercare nel senso di paura provato per gli inevitabili cambiamenti, e la conseguente perdita del proprio habitus culturale.
Le risposte sollecitate da questo tipo di incontro possono essere differenti: se è l’Altro a inserirsi nella nostra società, emerge un atteggiamento di difesa. Lo stesso Eric Landowski, infatti, parlava di quattro possibili tipi di relazione: l’assimilazione, l’esclusione, la segregazione e l’ammissione. Tutte palesano una difficoltà nella convivenza, per cui spesso i locali impongono le proprie abitudini allo “straniero”, che subisce, quindi, una forma di violenza.
Pertanto, quando lo scambio avviene all’interno del proprio territorio, esso risulta essere insidioso e caratterizzato da conflitti interni. Diversamente, nel momento in cui la conoscenza è all’esterno dei confini, si mostra un atteggiamento più positivo, di interesse e aperto alla condivisione.
Questa curiosità, unita al desiderio di accettazione da parte del proprio gruppo sociale, porta sempre più spesso a gesti sconsiderati: un esempio riguarda l’influencer Mykhailo Viktorovych Polyakov, che ha violato le leggi internazionali cercando di entrare in contatto con la tribù indigena di North Sentinel. Lo sbarco sull’isola è infatti vietato sia per tutelare gli abitanti da possibili malattie importate, sia perché la popolazione si è dimostrata spesso violenta nei confronti dei visitatori, esprimendo la volontà di non avere nessun contatto.
Il popolo, composto da circa quattrocento componenti, è protetto e isolato dal 1956 ed è quindi rimasto estraneo ai fenomeni e alle logiche della globalizzazione. Per questo il gesto del ragazzo di portare con sé una noce di cocco e una Coca-Cola ha dimostrato come le nostre società siano caratterizzate da quella che Ugo Volli chiama un’omologazione ormai dilagante, di cui la Diet Coke è il simbolo principale, come prodotto consumistico di identificazione. Inoltre, seppur possa sembrare un gesto innocente di condivisione, denota la volontà di trasmettere i propri valori, la propria identità culturale. Si dimenticano così i desideri altrui e si perpetra, ancora una volta, un atto di violenza sociale che avrebbe potuto avere conseguenze tragiche, sia per il popolo che per il giovane.
Forse, come afferma Gian Paolo Caprettini, bisognerebbe smettere di improvvisarsi “mediatori” di una traduzione culturale di cui non si hanno le conoscenze di base.
Si dovrebbe dunque sradicare questa violenza, comprendendo che esistono sistemi culturali differenti e che tutti hanno pari dignità. Ma ciò è possibile solo costruendo un ponte garante di un rispetto universale: l’empatia.
Letizia Manera
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