Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Identità ai margini: le vite dei senzatetto come esempio di resistenza culturale

Bologna è piena di nidi. Come qualsiasi altra città cosmopolita, è assediata da abitazioni: accanto ai portoni dei palazzi signorili del centro, si stagliano le capanne nomadi dei senzatetto che fanno delle strade e dei portici la loro casa. Nidi perché sono case irrimediabilmente aperte e sconfinate, in cui noi passanti entriamo senza neanche chiedere il permesso. Eppure, queste sembrano avere delle pareti: sono i confini dell’invisibilizzazione. Rendiamo invisibile ciò che si configura come spiccatamente visibile per la sua connotata differenza rispetto alla massa indistinta dei più privilegiati.

I senzatetto si configurano come una vera e propria comunità di individui legati da strategie di sopravvivenza, valori condivisi, narrazioni e linguaggi propri. Essi sono il segno di uno specifico cortocircuito sociale, frutto del capitalismo sfrenato e della globalizzazione che rischiano di cancellare e appiattire qualsiasi genere di differenza.

Ma è proprio attraverso l’alterità che definiamo la nostra identità, mediante lo stesso meccanismo alla base della produzione degli stereotipi. Come sostiene Umberto Eco, siamo condannati a inventarciun “nemico”, un loro che ci fa dire noi.

Ciò che dà forma alla mia propria identità non è semplicemente il modo in cui, riflessivamente, mi definisco (o tento di definirmi) in relazione all'immagine che gli altri mi trasmettono di me stesso, ma è anche il modo in cui, transitivamente, io oggettivo l'alterità dell’altro, assegnando un contenuto specifico alla differenza che mi separa da lui. Secondo Eric Landowski bisognerebbe ri-definire l’identità non come negazione dell’Altro, bensì come positività che resiste alla riduzione del molteplice e del diverso all’unico e all’uniforme. Ciò favorisce l’avvicinamento e la coesistenza di entità distinte attraverso un processo contraddittorio rispetto all’esclusione: quello dell’ammissione. Come auspicato da Ugo Volli in un articolo per “Il Fatto Quotidiano”, sarebbe necessario recuperare l’identità in maniera non ossessiva per riuscire a “sopravvivere all’omologazione”.

In questo senso, l’identità del senzatetto può essere considerata alla stregua dell’Homo sacer descritto da Giorgio Agamben (1998): colui che non ha dimora fissa è ridotto alla “nuda vita”, ossia a uno stato privo di qualsiasi dignità politica. Pur sempre dentro la città e dentro la legge, egli è posto alla periferia del senso da chi si trova al centro del sistema. Nonostante questo, è ancora partecipe dell’ordine simbolico: lì dove la cultura dominante non arriva nascono altri sensi, altre sopravvivenze, altre possibilità di abitare e dare senso al mondo.

Il margine si muove, è dinamico, ed è solo al suo interno che si possono produrre pratiche di resistenza. Riprendendo le parole di Gian Paolo Caprettini, che si interroga sull’esistenza di unacultura straniera, il senzatetto è il “segno isolato” che può irrompere nel continuum della semiosfera e interpellarci per chiedere “dialogo e reciprocità”. Perché, come scrive bell hooks (1998), dagli spazi liminali si può osservare criticamente il centro. Allora è proprio dal ciglio della strada che possiamo partire per proporre nuove traduzioni: tradurre linguaggi ancor più che lingue, che riportino a galla l’estraneo per scoprirne qualcosa di familiare.

Maria Sofia Fiorillo

Commenti

Post popolari in questo blog

Cristo si è fermato a Beirut: la capitale libanese distrutta dalle fiamme, nella scatto di Lorenzo Tugnoli

Ali e mari di cura e speranza. Sulla foto "The first embrace" di Mads Nissen

Muri imponenti, identità instabili

Vivere il parto: un viaggio interattivo attraverso "Birth in the 21st Century"

What is truly Scandinavian? Difesa di uno spot tra identità e luoghi