Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Perché la globalizzazione non è nemica dell’identità

La questione dell’identità è da sempre al centro dei discorsi filosofici e politici, argomento di propaganda di ogni genere, ma anche chiave di volta in determinati meccanismi di mercato. A proposito di ciò, è chiaro che questo argomento diventa centrale se si parla di globalizzazione, ed è interessante cercare di indagare il modo in cui il concetto di identità entra nel dibattito su di essa e sulle sue implicazioni. Si è spesso concordi sul fatto che la globalizzazione ha comportato una certa omologazione: come sostiene Ugo Volli, infatti, la prima “non realizza l’universale di Kant, dei diritti dell’uomo e di Marx, ma certamente l’uniformità di cui parla François Jullien”.

Il mondo è diventato più piccolo in seguito alla globalizzazione e le persone sono inevitabilmente più vicine. L’esposizione all’altro ha reso necessaria una costante messa in discussione della propria identità, delle proprie abitudini e delle proprie inclinazioni. Forse, però, la contemporaneità ha portato a una distinzione netta, rispetto al passato, tra identità collettiva e identità individuale. Nel primo caso ci si riferisce alla tradizione e alla cultura dei gruppi in senso lato; nel secondo caso, invece, si fa riferimento alla sfera soggettiva, ai modi di essere che caratterizzano ciascun individuo.

Se si parla di identità collettiva, è innegabile che la globalizzazione abbia dato un forte impulso uniformante. Non a caso si parla spesso di culture a rischio, di tradizioni in via d’estinzione e di minacce straniere di ogni genere. Ciò di cui non si parla spesso sono, invece, le possibilità espressive che la globalizzazione offre a livello individuale: si è diventati più simili tra persone e gruppi tra loro distanti, ma meno simili tra persone e gruppi tra loro vicini. Il risultato è l’offerta di un’enorme varietà di stili con i quali confrontarsi e nei quali riconoscersi o distanziarsi.

Un caso molto banale ma abbastanza rappresentativo della questione è l’abbigliamento. Consideriamo l’utilizzo di calzature maschili. Soprattutto tra i giovani, tante volte è stato ripetuto che oggi tutti indossano le stesse sneakers alla moda. Ma effettivamente i modelli e gli stili si sono moltiplicati, ognuno è libero di scegliere ciò che preferisce, al netto della forte influenza esercitata dai modelli offerti dal mercato. In passato, al contrario, l’abbigliamento era molto più codificato e omologante.

Un tempo il modo di vestire distingueva nettamente un gruppo più o meno ampio di persone di una stessa nazione o cultura rispetto a un’altra; al contempo rendeva uguali i membri di un gruppo. Oggi le differenze tra gruppi anche molto distanti dal punto di vista geografico sono meno nette; fioriscono, però, le differenze all’interno di una cultura comune, il che dimostra una maggiore possibilità di espressione della propria soggettività.

In conclusione, è interessante ripensare alcune implicazioni della globalizzazione in chiave più ottimistica: molto spesso i discorsi sull’identità sono frutto di ideologie reazionarie o nostalgiche; si potrebbe, invece, tenere da parte certi giudizi di valore per poter riconoscere le nuove possibilità aperte dal costante progresso e dal confronto con l’alterità.

Andrea Salcuni

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