Black news: come le notizie costruiscono una visione negativa del migrante
«Marocchino uccide i figli per punire la moglie», «Uccise la moglie davanti alla figlia di 7 anni, marocchino espulso dall’Italia», «‘Allah Akbar’, accoltella e uccide un uomo in Francia. Fermato un algerino schedato. Due agenti feriti gravemente», «Follia durante il naufragio, migrante soffoca una 16enne: fermato per omicidio». Questi sono solo alcuni dei titoli comparsi su quotidiani locali e nazionali nell’ultimo anno e mezzo. Quale che sia la descrizione del fatto di cronaca, quel che emerge è un costante richiamo all’origine straniera del responsabile del crimine, spesso descritto come un marocchino, un algerino, un arabo, un pakistano o un migrante.
In sostanza, l’identità del singolo viene ridotta e ricondotta alla sua provenienza, che non è certo specificata quando a commettere l’atto è un cittadino italiano. Questo genere di notizia rinforza l’immagine stereotipata e fortemente negativa del migrante, che viene presentato come un’entità astratta, spersonalizzata e pericolosa. Il soggetto in questione proviene dall’Africa, ma a volte anche dall’Asia, crede in un dio diverso, è arabo e parla male l’italiano. Poco importa se l’Africa è un continente e non uno stato, con storie, culture e religioni differenti al suo interno, o se la capitale del Pakistan dista circa 9.722 chilometri da Casablanca e 7.543 da Roma: la figura ostile che si ha impressa rimane la stessa.
Di fatto, si tratta della costruzione di un nemico comune, che serve ad affermare e rinforzare l’identità culturale italiana. Riguardo alla questione identitaria, Umberto Eco sottolinea proprio l’importanza del nemico e la necessità di costruirlo quando non c’è. In particolare, il nemico non sarebbe realmente una minaccia, ma qualcuno che si ha interesse a rappresentare come tale e rispetto a cui si può misurare il proprio valore. Non a caso, Eco affronta il tema dell’uomo “negro”, che fin dal XVIII secolo veniva considerato dagli inglesi un essere estraneo a qualsiasi sentimento di compassione, dedito alla vendetta e alla crudeltà.
Ecco, allora, che i titoli delle notizie di cronaca soprariportati sono sia l’effetto di radicati pregiudizi sia la causa di un ulteriore fenomeno: il confluire di elementi culturali appartenenti a diverse etnie in un’unica visione negativa di migrante. Tutto ciò evidenzia un interessante meccanismo di omologazione, che da un lato si manifesta nella tendenza di un popolo ad adottare un’unanime immagine di straniero, dall’altro nella composizione di questa immagine tramite la fusione di tratti culturali anche molto lontani uno dall’altro. Se, come ritiene Ugo Volli, la globalizzazione sta frammentando la possibilità di un’identità nazionale, è anche vero che tale identità non può ricostituirsi a scapito di altre.
Infatti, è proprio dalla scoperta dell’alterità che una cultura si ridefinisce continuamente. Come scrive Gian Paolo Caprettini, l’identità emerge nell’incontro simmetrico e asimmetrico tra orizzonti culturali differenti, nella consapevolezza che l’estraneità è un punto d’arrivo e non di partenza. Pertanto, si può (e si deve) rinunciare alla ricerca di un’identità nazionale chiusa alla diversità, in favore di un approccio paritario tra culture che ne favorisca il dialogo.
Barbara Casoli
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