Heartstrings: (rap)presentare la memoria assente, tra psicologia e semiotica
Nel panorama dei progetti multimediali selezionati dal World Press Photo 2024 emerge un lavoro che va dritto al cuore delle sfide umane: Heartstrings di Kazuhiko Matsumura. In questa esplorazione della condizione dell’uomo, il progetto si propone di dare uno spazio di rappresentazione a una malattia che ha un impatto devastante sulle vite di milioni di persone: l'Alzheimer. Classificata come disturbo neurodegenerativo, caratterizzata da deterioramento cognitivo, questa malattia è strettamente legata alla perdita di memoria; ed è proprio la messa in evidenza di questo aspetto a rendere Heartstrings un progetto così toccante e significativo. Attraverso una serie di fotografie, stratificate in quattro capitoli distinti, il lavoro di Matsumura rivela la complessità, la profondità e in fondo l’impotenza dell'esperienza umana nei confronti di una malattia così implacabile, ponendo l'enfasi sull’ineluttabilità della perdita di memoria. L’artista riesce a condurre chi guarda verso l’esplorazione visiva delle sfumature emotive, delle sfide quotidiane e degli sguardi toccanti dei soggetti che sono immersi nel mondo di nebbia della malattia.
Due prospettive sul concetto di memoria
Il
concetto di memoria, se analizzato attraverso il filtro di un approccio
psicologico, viene considerato come una facoltà mentale, dunque come
qualcosa di interno alla psiche del singolo individuo. Una prospettiva
semiotica, invece, indaga la memoria attraverso l’idea che questa sia in
qualche modo esternalizzata, cioè non relegata al mondo psichico di un
soggetto, bensì inscritta e rintracciabile in testi, pratiche e culture
condivise. Considerate le due diverse ottiche, è possibile interpretare il
lavoro di Matsumura come il tentativo di unire l’aspetto della facoltà mentale
(e del suo deterioramento), con l’importanza del supporto materiale, quindi
esternalizzato e testuale, attraverso il quale tale facoltà viene resa manifesta.
Presentificare l'assenza
La perdita di memoria crea un effetto di assenza che Matsumura riesce a rappresentare attraverso le sue foto. Ma in che modo è possibile far emergere l’idea di un’assenza? Come si può mostrare qualcosa che non c’è? Invece che ricorrere a una strategia “del vuoto” (ad esempio una tela bianca o una foto non sviluppata), l’artista propone una presentificazione dell’assenza. Come fa notare Claudio Paolucci nel suo libro Persona (2020), immaginando il corpo di una persona non si noterebbe mai la mancanza di un terzo braccio, perché si tratterebbe di una pura assenza, non marcata in alcun modo; la presenza di un’assenza, cioè la sua marcatura, invece, è un fenomeno diverso, che si manifesterebbe qualora il braccio mancante fosse il secondo. Nel progetto di Matsumura si può notare proprio la messa in scena di questa dinamica, unita al concetto di memoria esternalizzata: l’idea è quella di rappresentare l’assenza di ciò che si è perso attraverso supporti materiali che ne determinano una presentificazione. L’universo interiore dell’individuo che sta perdendo una facoltà (approccio psicologico) si intreccia così con l’idea di presentare e rappresentare una memoria assente in forma visiva e testuale (approccio semiotico).
Si
veda ad esempio la prima foto del progetto, in cui si mostra un giornale,
in parte ritagliato, di cui resta quindi solo la cornice su uno sfondo bianco:
l’immagine evidenzia la progressiva perdita di alcune facoltà cognitive e
motorie di Shigeo Mori, che era solito ritagliare perfettamente un gioco
dal giornale fotografato ma, negli ultimi stadi della malattia, finiva per
ritagliare la pagina quasi per intero. Probabilmente Shigeo non ricordava più
nemmeno quale elemento dovesse essere selezionato, o perché lo stesse facendo,
e l’allargamento della voragine di vuoto nel foglio di carta diventa rappresentazione
mimetica della stessa assenza nel tessuto dei suoi ricordi.
Oltre l'haikai: immagine, memoria, identità
Infine, ricordiamo che il concetto di memoria è intrinsecamente legato a quello di identità: la memoria non è semplice registrazione del passato, ma si manifesta come interpretazione e ricostruzione di esso. L’identità è quindi definibile come costruzione e interpretazione della propria storia, attraverso un rimaneggiamento memoriale di fatti ed eventi già accaduti. La perdita di memoria, pertanto, comporta grandi cambiamenti identitari, e per chi soffre di Alzheimer “la vita così com’è conosciuta cambia poco a poco”, dice Matsumura. La presenza dell’assenza che va inevitabilmente a decostruire e mettere in crisi anche l’identità di chi sta perdendo la memoria merita di essere rappresentata e narrata nella sua complessità, per dare a chi soffre di questa e altre malattie neurodegenerative una dimensione, se non interna e psichica, almeno esternalizzata in testi, in cui ri-definirsi e dare senso alla propria esperienza. Il progetto fotografico di Matsumura, nelle prospettive psicologica e semiotica rintracciate, sembra rendere perfettamente conto di questa dimensione, in cui le persone che soffrono di Alzheimer non sono semplicemente etichettate sotto l’idea giapponese di “haikai”, cioè “vagare senza meta”, ma occupano uno spazio di rappresentazione e ripresentazione in cui immagine, assenza, memoria e identità prendono vita e sanno raccontare una storia emozionante dalle innumerevoli sfaccettature.
Asia Della Bruna, Gaia Benedetti, Ludovica Santangelo
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