Chi trova un nemico trova un tesoro
Ieri, oggi, domani, il conflitto è al centro delle nostre attenzioni e non ne possiamo fare a meno. Identità, diversità, cultura: siamo in grado di tradurre?
Un nemico è più importante di un amico. L’amico ci aiuta quando abbiamo bisogno, o almeno ci prova. Può essere utile o inutile, può determinare i nostri successi o i nostri insuccessi. Ci sprona, ci consola, ci ascolta. Sembra essere l’elemento più importante nelle nostre vite. Eppure, se non avessimo un nemico, non ci alzeremmo neanche dal letto la mattina. Il conflitto è il fulcro della nostra esistenza, determina chi siamo, quali sono i nostri valori, cosa vogliamo realizzare, per quale causa siamo disposti a combattere. Dunque, il nemico ci conferisce una identità.
Spesso confondiamo il diverso con il nemico. Come spiega Umberto Eco, in un articolo per La Repubblica, il nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per mostrare, nel conflitto, il nostro valore. Pertanto, quando non c’è, il nemico occorre crearlo. In questo senso, il nemico viene costruito non tanto perché minaccioso, ma perché se ne ha bisogno. Ed è molto semplice trovare una minaccia nella diversità. Ciò che è diverso, quindi, diventa un pericolo solo perché a qualcuno interessa attribuirgli una minacciosità. In tal modo il diverso diventa segno di pericolo.
L’acerrima diversità ha causato una terribile ossessione identitaria nella cultura europea. Ne parla Ugo Volli in un articolo per Il Fatto Quotidiano, in cui denuncia la comparsa di un nuovo nemico: l’identità individuale, ma soprattutto collettiva. Proprio l’identità, che prima abbiamo visto essere conferita dal nemico, diventa nemica della cultura. Eppure, o meglio, infatti, la cultura non ne può fare a meno. Bisogna però distinguere una identità di memoria, necessaria per progettare il futuro, da una identità di tradizione, che ci tiene legati al passato.
La cultura ha bisogno di identità come noi
abbiamo bisogno di un nemico. Non esiste una cultura che non abbia identità, ed
è attraverso la cultura che noi acquisiamo una identità. Identità che, come ci
ricorda Gian Paolo Caprettini in uno scritto pubblicato
in Scienze e ricerche, dipende dal tipo di traduzioni
che siamo in grado di compiere. Ovvero la capacità che abbiamo di saperle
spiegare. Traduzioni che, all’interno della semiosfera di cui parlava
Jurij M. Lotman, ci permettono di cogliere la complessità di ciò che arriva
dall’esterno e quindi di ciò che è diverso. Dobbiamo imparare a tradurre, per
l’amico, per il nemico, per noi stessi.
Marco Lauletta
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