Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

“Amo noi”: l’identità come identificazione

Quando si parla di identità, spesso la si riconduce a tutti quegli elementi che distinguono l’individuo dalla massa: avere un’identità ben definita arriva a significare il differenziarsi dagli altri, l’essere ben riconoscibili per contrasto e l’essere capaci di non seguire mode e tendenze uniformanti. A volte ci costruiamo noi stessi un opposto per emergere, e assimilare il diverso al nemico ci aiuta a definirci, come mette bene in evidenza Umberto Eco. È interessante quindi notare come sia necessario distinguersi, ma non fino a diventare dei diversi esclusi.

Sarà che l’identità è un fatto culturale complesso, instabile e non solo individuale, un processo di costruzione intersoggettiva che non passa soltanto per distinzioni e contrasti, bensì forse anche per alcune forme di omologazione. Sorge infatti una questione: la globalizzazione rappresenta l’annullamento dell’identità? Secondo Ugo Volli, sì. Le mode, i trend, i prodotti del mercato globale creano indifferenziazione culturale e omologazione, soprattutto attraverso la rapidissima diffusione che offrono i mezzi dell’era digitale, e questo metterebbe a rischio l’emergere delle identità. Tuttavia, possiamo osservare che nel mondo social e globalizzato i meccanismi identitari passano piuttosto che per la distinzione per il rispecchiamento, il riconoscimento di sé nell’altro, verso un’identità che diventa identificazione. Pensiamo al funzionamento dei meme o di altri contenuti virali online, che uniscono comunità di follower fra i commenti di un post sulla base della sensazione che in qualche modo si stia parlando di loro. Riconoscendoci in una frase, stile o battuta ci definiamo intersoggettivamente e ci narriamo, condividendo contenuti che ci rispecchiano e commentando spesso con gli ormai idiomatici “amo io”, “amo noi”.

È proprio in questo meccanismo che emerge il diverso escluso. Quando le identità passano per il riconoscersi e il confrontarsi con il simile, c’è qualcuno che rimane fuori, che ha difficoltà a trovare un posto dove collocarsi: allora non sempre distinguersi rappresenterebbe un’affermazione più forte della propria identità, bensì addirittura la difficoltà a costruirla.

In fondo anche nelle tradizioni antiche, nelle comunità locali e nelle nostre “radici” sono sempre emersi meccanismi di branco caratterizzati dal poco spazio per le devianze individuali e dall’emarginazione del diverso. Il mondo globalizzato, per quanto complesso e non privo di rischi e contraddizioni, offre perlomeno una rete di condivisione in cui sembra più facile trovare un posto, uno stile o una comunità in cui sentirsi rappresentati.

I mezzi di comunicazione digitali, i trend virali e i prodotti della globalizzazione potrebbero essere quindi elementi mediatori tra universi distanti, congegni di traduzione e interpretazione che, pur livellando alcune differenze, hanno il potere di generare nuovi ambienti culturali, sul cui funzionamento si interroga anche Gian Paolo Caprettini. Jurij M. Lotman sosteneva che la cultura fosse la memoria longeva di una collettività: forse oggi questo bagaglio si costruisce sempre di più attraverso contenuti in grado di connettere memorie individuali (vedasi “ti sblocco un ricordo!”), piuttosto che attraverso la grande storia e le tradizioni comunitarie. Più che una cultura sovraindividuale, un patchwork di singole memorie sotterranee che, ritrovandosi e riconoscendosi come simili, connettono diverse identità e le portano ad affermarsi in piccole o grandi semiosfere. Dire “questo sono proprio io” passa attraverso il “sono come te”.

Ludovica Santangelo

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