Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

La narrazione come forma dell’esperienza

La nostra intera esistenza di esseri umani è limitata dallo spazio e dal tempo: si svolge in ambienti fisici popolati e ha una durata. Questo può risultare deprimente, chiama in causa una delle nostre più grandi paure, eppure gli uomini hanno trovato il modo di prolungare la loro vita. Come?

Ibernazione, reincarnazione e Aldilà sono argomenti suggestivi, ma questo testo ne vuole proporre uno più accessibile: la narrazione.

Usiamo il linguaggio per raccontarci storie che hanno il potere di non scomparire. Sappiamo che gli Egizi già nel III secolo a.C. costruivano piramidi, che i Greci espugnarono Troia con un cavallo di legno e che i Romani conquistarono il mondo. Da sempre diamo vita a narrazioni da tramandare in cui mettiamo in scena attori, spazi e tempi: lo facciamo per non morire.

Ci è chiaro perché raccontiamo. Ma ciò che fa la differenza è come raccontiamo. Il modo in cui ci serviamo della lingua per parlare dell’esperienza contribuisce fortemente a creare ciò che siamo: la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità. Émile Benveniste insisteva sul fatto che l’esperienza stessa non può avere significato senza una lingua che la sostenga. In accordo con il linguista francese, la lingua è capace di organizzare e influenzare la cultura di una società. Questo cosa comporta? Se la lingua è il sistema simbolico dominante, allora possiamo usare il linguaggio per fare qualsiasi cosa. Anche per mentire.

La questione ora diventa cosa raccontiamo. Quando Umberto Eco parla di invenzione del nemico intende proprio questo. L’operazione di costruzione del nemico è ricorrente nella storia dell’uomo ed è necessaria per affermare la propria identità in opposizione a quella dell’altro, al diverso. Se il nemico non c’è, basta costruirlo.

Entrati nel vivo del discorso, potremmo chiederci che senso ha costruire sé stessi e la propria immagine. Ugo Volli risponderebbe che è l’unico modo per non affogare nella moltitudine conveniente solo per chi vende. Essere uguali ma non omologati, perché la globalizzazione realizza l’uniformità culturale. Ma che cos’è cultura?

Banalmente, tutto è cultura. È un sistema complesso in cui gli elementi vi appartengono e al contempo se ne distaccano. Jurij Lotman parla di “semiosfera”: cultura come organismo vivente caratterizzato da un bisogno continuo di tradurre ciò che arriva dall’esterno: persone, notizie, valori.

Gian Paolo Caprettinia questo proposito, si chiede se è possibile apprendere una cultura come una lingua. Lo è, sostiene, a patto di diventare intelligenti come una lingua. Veniamo interpellati ogni giorno dalle nostre culture fatte di segni per scegliere se accogliere o respingere i nuovi arrivi di ogni tipo. Esse ricercano il dialogo e la reciprocità degli interpreti. Quindi, la nostra identità dipende dal tipo di traduzioni che siamo in grado di compiere e dalla nostra capacità di farle capire agli altri. Cioè da come portiamo avanti il racconto, da come tramandiamo le nostre storie. Come ricorda Caprettini: "ci sono fiabe lontane, remote ma non straniere".

Luigi Daniele

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