Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Il problema dell’identità culturale tra individuo e collettivo

Il fulcro del discorso contemporaneo intorno all’evoluzione dell’identità e della cultura sta nella mutazione della dicotomia tra individuo e collettivo. Viviamo in un’epoca di frontiera, in cui l’umanità sta mutando in maniera profonda, mettendo addirittura in discussione il senso stesso dell’umano. In questo frangente, è cambiato il ruolo della collettività nella formazione dell’identità individuale.

Per secoli, millenni, il mondo è stato diviso tra viaggiatori e sedentari.

Da un lato, viaggiatori che scoprivano culture, anticipando il concetto di shock culturale introdotto dall’antropologia del XX secolo per descrivere la reazione dell’individuo all’esperienza di eventi in contesti culturali diversi dal proprio. Questi uomini erano commercianti, esploratori, diplomatici, ed erano un’esigua minoranza. Dall’altro lato, una maggioranza assoluta di persone che, costrette a lavorare la terra, legate alla casa e alla famiglia, non hanno mai lasciato il proprio luogo di nascita.

Nell’immaginario esiste l’idea di personaggi storici curiosi e tolleranti: si pensi ai rapporti con l’Islam di alcuni sovrani medievali, oppure all’immagine del Kublai Khan di Italo Calvino che chiede a Marco Polo di raccontargli il mondo osservato nei suoi viaggi. Tuttavia, l’identità culturale della maggioranza assoluta è stata sempre determinata da un orizzonte limitatissimo, in cui la scoperta del mondo e dei valori era affidata alla collettività e semmai alle sacre scritture. Se pure non dobbiamo cedere all’idea erronea di un passato oscurantista, è vero che gran parte della storia umana è caratterizzata da una limitata esperienza del diverso, che – ricorda Umberto Eco – è inquadrato come negativo e minaccioso.

Non c’è bisogno di sottolineare quanto le rivoluzioni tecnologiche degli ultimi due secoli abbiano stravolto ogni aspetto della vita umana.

Quello che ci interessa evidenziare è il modo in cui è cambiato il rapporto tra individuo e collettivo con l’avvento delle telecomunicazioni, in particolare dal dopoguerra. In parallelo alla progressiva trasformazione degli individui in consumatori, ecco che il compito della trasmissione dei valori, che una volta era prerogativa di istituzioni “classiche”, comincia a venir condiviso con altri attori: la radio, il cinema, la televisione diventano i genitori delle nuove generazioni. Quest’ultima affermazione potrà sembrare provocatoria, ma può essere calzante se si prende a esempio l’impatto culturale che ebbe il successo di Elvis Presley negli anni ‘50, per cui, per la prima volta, una generazione di giovani americani cominciava a vestirsi diversamente dai propri genitori.

La tappa attuale di questo processo sono i social network, grazie ai quali possiamo raggiungere “in prima persona” realtà lontanissime e altrimenti inaccessibili. Sorgono domande spontanee sulle conseguenze di un fenomeno simile, per quanto riguarda i rischi dell’omologazione e le difficoltà di un’autentica comprensione del diverso. Quali che siano le posizioni in questo complesso dibattito, che potrebbe vedere contrapposti i classici apocalittici e integrati, occorre avere ben presente che il progresso tecnologico, accompagnato dalle nuove ideologie, ridefinisce i concetti di individuo e collettivo, così come il modo in cui si intrecciano.

Spesso, per affrontare problemi contemporanei, è necessario ridefinire le categorie del pensiero, anche se queste sembrano eterne.

Tommaso Petriccione

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