Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Il diverso necessario

In Il diverso che viene trasformato in nemico Umberto Eco scrive: “avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro. Pertanto quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo”. Per definire la propria identità risulta necessario considerare l’altro. Spesso però, dando a questo delle connotazioni negative. Lo afferma anche Eco: il bisogno di creare il nemico è istintivo; nel momento in cui descriviamo e delineiamo i tratti tipici da associare alla nostra identità andiamo a escludere altri tratti che invece non ci rappresentano.

Come spiega Paul Ricoeur l’identità è fatta di “idem” e di continuità fisica, ma anche di “ipse”, quindi di proprietà, costumi e di memorie collettive. Le ultime determinano una serie di conoscenze implicite che sono fondamentali nel momento dello scambio comunicativo tra parlanti di stessa provenienza: chi siamo è un risultato dell’ambiente in cui viviamo, del nostro adattamento a esso e del nostro rispecchiarci in esso. Nella definizione di chi siamo è intrinseca e necessaria l’esclusione delle proprietà che non rispecchiano la nostra identità proprio in quanto l'appartenenza è continuità e le differenze sono invece caratterizzate da discontinuità. Nella discontinuità non ci può essere appartenenza. Le nostre caratteristiche sono tali in quanto si differenziano da altre che non riconosciamo in noi. Si parla di identità anche in riferimento al caratteristico bisogno umano di appartenenza a un gruppo, come per il bisogno di rapportarsi e vivere con e all’interno del simile.

Nella società in cui viviamo l’esclusione implicita che scaturisce nel momento in cui ci si identifica in un determinato gruppo si traduce in discriminazione del diverso. Le sue caratteristiche finiscono per assumere valori dispregiativi e in quanto tali anche minacciosi. Come illustra infatti Eco, non è tanto la minacciosità dell’estraneo a farne risaltare la diversità, ma tanto più la diversità a diventare un segno di minacciosità. Alla base c’è un inevitabile bisogno di difendere la realtà costruita, senza che una entità discontinua entri al suo interno, con il rischio di distruggere il presunto equilibrio di valori su cui si basa la nostra identità. Peccato solo che sia una grossa illusione quella dell’equilibrio, in quanto siamo una specie destinata all’evoluzione e non alla conservazione: senza un disequilibrio non può avvenire cambiamento e quindi non potrebbe esserci evoluzione.

Ugo Volli afferma che “è forse il caso di recuperare l’identità, senza ossessioni” e possiamo essere d’accordo, soprattutto perché spesso è proprio questa a portarci agli estremi e forse alla folle idea che la nostra sia l’unica e la migliore. L’ossessione di definire sé stesso è per l’uomo la trappola per topi da cui prendere il pezzo di formaggio senza rimanere incastrati.

Sara De Pasquale

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