Identità individuale e cultura. Come il mercato contemporaneo ha influito sul loro rapporto
Non si dirà niente di nuovo sottolineando come l’intensità e la pervasività dei flussi economici, da circa cinquant’anni a questa parte, abbiano reso possibile l’apparizione sul mercato di qualsiasi prodotto culturale. Così facendo si corre il rischio di depauperare il patrimonio dei tratti che ne costituiscono l’unicità, come ha spiegato anche David Harvey parlando di creazione, difesa e sfruttamento dei commons. La stessa mercificazione indiscriminata, che ha prodotto modelli di consumo omogenei, ha poi finito per esacerbare le differenze sociali. Anche da ciò scaturisce il desiderio di tutelare questi beni a ogni costo. Una tale volontà può però sfociare in atteggiamenti sciovinistici e ostili verso popoli e culture distanti dalla propria. Così pian piano prende forma l’identikit di un nemico contro il quale sembra necessario barricarsi e fare fronte comune.
È importante che il background culturale di ognuno funga da propulsore e non da ancora. D’altro canto la stasi è mortifera per la cultura stessa se non viene alternata al dinamismo. L’idea che si preservi l’identità di un gruppo più o meno ampio di persone, mantenendo perennemente inalterato lo status quo, può fare in modo che si crei un senso di appartenenza tanto fallace quanto duro da eradicare. Infatti il singolo non dovrebbe sentirsi esentato, per il semplice fatto di essere già membro di una collettività, dal bisogno benefico di intraprendere un percorso solitario che gli consenta di formarsi una propria identità individuale. Anzi ben venga se questo lo condurrà oltre le maglie della propria sfera culturale.
Però sembra essere un altro lo spirito del tempo. Si tenta spesso di delegittimare ciò che esula dal perimetro delle proprie tradizioni. A livello internazionale, meglio ancora se a detrimento di un diretto concorrente sul mercato. Gian Paolo Caprettini ha sottolineato come dimensione economica e culturale siano strettamente collegate. Ciò afferisce anche al più ampio discorso che riguarda la progressiva perdita di sovranità da parte dei vecchi stati-nazione, ormai incapaci di regolamentare i mercati e di arginare i flussi in entrata e in uscita. Sia di merci che di persone. Da cui anche la crisi identitaria che affligge questi spazi fisici e culturali, quindi le persone che li abitano. La risposta più semplice e in apparenza efficace a questo panorama fatto di insicurezza e vulnerabilità è l’isolamento. A riguardo può essere utile tenere a mente un passaggio presente nella Semiosfera di Jurij Lotman, che offre una prospettiva diversa: «Una cultura isolata è sempre “per se stessa” “naturale” e “regolata da norme abituali”. Appena diventa una parte di un insieme più ampio, viene a conoscere un punto di vista esterno su se stessa e si scopre dotata di una sua specificità.»
Si può quindi pensare al patrimonio culturale, sia individuale che collettivo, come un muscolo che necessita anche di stimoli differenti da quelli a cui è aduso. Pena l’atrofia.
È importante che il background culturale di ognuno funga da propulsore e non da ancora. D’altro canto la stasi è mortifera per la cultura stessa se non viene alternata al dinamismo. L’idea che si preservi l’identità di un gruppo più o meno ampio di persone, mantenendo perennemente inalterato lo status quo, può fare in modo che si crei un senso di appartenenza tanto fallace quanto duro da eradicare. Infatti il singolo non dovrebbe sentirsi esentato, per il semplice fatto di essere già membro di una collettività, dal bisogno benefico di intraprendere un percorso solitario che gli consenta di formarsi una propria identità individuale. Anzi ben venga se questo lo condurrà oltre le maglie della propria sfera culturale.
Però sembra essere un altro lo spirito del tempo. Si tenta spesso di delegittimare ciò che esula dal perimetro delle proprie tradizioni. A livello internazionale, meglio ancora se a detrimento di un diretto concorrente sul mercato. Gian Paolo Caprettini ha sottolineato come dimensione economica e culturale siano strettamente collegate. Ciò afferisce anche al più ampio discorso che riguarda la progressiva perdita di sovranità da parte dei vecchi stati-nazione, ormai incapaci di regolamentare i mercati e di arginare i flussi in entrata e in uscita. Sia di merci che di persone. Da cui anche la crisi identitaria che affligge questi spazi fisici e culturali, quindi le persone che li abitano. La risposta più semplice e in apparenza efficace a questo panorama fatto di insicurezza e vulnerabilità è l’isolamento. A riguardo può essere utile tenere a mente un passaggio presente nella Semiosfera di Jurij Lotman, che offre una prospettiva diversa: «Una cultura isolata è sempre “per se stessa” “naturale” e “regolata da norme abituali”. Appena diventa una parte di un insieme più ampio, viene a conoscere un punto di vista esterno su se stessa e si scopre dotata di una sua specificità.»
Si può quindi pensare al patrimonio culturale, sia individuale che collettivo, come un muscolo che necessita anche di stimoli differenti da quelli a cui è aduso. Pena l’atrofia.
Federico Costa
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