Il diverso attraverso lo specchio impersonale: diventare nemici di sé stessi
“Sin dall’inizio vengono costruiti come nemici non tanto i diversi che ci minacciano direttamente (come sarebbe il caso dei barbari), bensì coloro che qualcuno ha interesse a rappresentare come minacciosi anche se non ci minacciano direttamente, così che non tanto la loro minacciosità ne faccia risaltare la diversità, ma la loro diversità diventi segno di minacciosità”. Questa è solo una parte dell’articolo firmato da Umberto Eco in merito a un argomento che, dal 2011 ad oggi, è ancora oggetto di grandi discussioni: il diverso.
Non andremo a definire chi o cosa è diverso, ognuno di noi ha dei “nei”. Ma cosa accade quando dall’esterno ci viene detto che quel neo è una minaccia, un nemico?
Ci raccontano, da quando siamo bambini,che il principe
riesce a salvare la principessa solo dopo aver sconfitto un potente nemico.
Favole, romanzi e film si snodano da questo perenne conflitto tra un soggetto e un anti-soggetto, perché solo
attraverso la presenza di un nemico, di un personaggio in possesso di valori contrari rispetto
a quelli dell’eroe, ci può essere una narratività. Ma se siamo abituati allo
stereotipato lieto fine delle favole, non si può dire lo stesso per il mondo in
cui viviamo.
Spesso il nemico non è un drago, e nemmeno una strega
cattiva.
Spesso il nemico è il nostro stesso riflesso, il nostro guardarci in uno specchio che sembra voler mostrare solo i nostri nei. Uno specchio che ci presenta la “nostra” immagine impersonale,costituita da tutte le persone che hanno avuto il potere di modulare negativamente il nostro punto di vista in merito a ciò che siamo, pensiamo, esprimiamo, indossiamo, amiamo.
Luigi Pirandello in Uno, nessuno e centomila (1925-1926)
scriveva: “La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è
realtà per voi e non per me; […] e per me stesso io non ho altra realtà se non
nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto”.
Jean-Paul
Sartre, indirettamente, rispondeva con la ormai celebre frase:“l’inferno
sono gli altri” (A porte chiuse 1944). Per il filosofo, l’uomo esiste e si definisce solo attraverso gli
sguardi e i giudizi degli altri. Niente di più semiotico: l’identità di
un elemento può essere definita solo attraverso un rapporto differenziale con
un altro elemento. È in questo modo che diventiamo nemici di noi stessi;
descritti e rappresentati come delle minacce, inizieremo a vederci come tali e
ad agire contro quello che pensiamo essere il nemico, contro noi stessi.
Perché, d’altronde, è quello che ci insegnano le storie: un soggetto cerca sempre di raggiungere il proprio obiettivo sconfiggendo la minaccia.
Forse, ancora oggi, siamo destinati a vivere in una tagliola, in un inferno simile a un’aula riempita da un applauso assordante di 154 mani, di chi invece di rompere gli specchi impersonali continua a costruirne degli altri...
Martina
Accettola
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