L’Altro che Io temo: quando il nemico sono io
Da secoli, la saggistica e l’arte parlano dell’Io. Ne è un esempio il saggio Il perturbante (1919) di Sigmund Freud in cui l’istanza psichica è curiosamente connessa al “non familiare”. Il testo parla della scissione e opposizione in sé dell’Io. Cosa succederebbe se l’Ego proiettasse fuori di sé questa opposizione? La domanda trova risposta nell’idea di “perturbante”: ciò che procura inquietudine perché esiste un Alter-Ego che non mi è familiare. Un diverso angosciante.
Quando fuoriusciamo dalla zona di
comfort, abbiamo un
atteggiamento terrorizzato. Ma ha senso considerare a monte l’Altro un nemico
di cui avere paura quando potremmo essere noi il soggetto da temere? Persone di cui avere paura
perché pensarci oggi
qualcuno, domani qualcun altro ci destabilizzerebbe tanto da perdere il
controllo?
Nell’artesi è spesso tentato di rappresentare il concetto
dell’Altro-Io come Doppelgänger, il “Doppio”. Sono vari gli esempi nella letteratura, come Il Sosia di Fedor
Dostoevskij o Il doppio di Otto Rank;
e nel cinema, come L’uomo senza sonno con Christian Bale e, per citare anche un cortometraggio, La Testimone della serie Netflix Love, Death &Robots.
L’episodio tratta della testimone di un evento che non
avrebbe dovuto vedere: l’omicidio di
una ragazza identica a lei da parte di un uomo che la rincorrerà per la città
nel tentativo di giustificarle l’accaduto. La vicenda si conclude con la protagonista che, scappando
dall’omicida, si rifugia in una stanza identica a quella in cui l’uomo ha
ucciso la sosia. Quest’ultimo
la raggiunge, ma i ruoli si invertono: sarà la testimone ad assassinare il
criminale nell’uguale modo in cui lei lo ha visto sparare alla sosia.
La Testimone mette in luce il senso di spaesamento, il timore e la risposta violenta dell’Io nell’interagire con un
Altro-Io: una metafora della
negazione del diverso –
un altro soggetto o un’altra visione delle cose – fino al suo annullamento.
Umberto Eco in Il diverso che viene trasformato in nemico ci
presenta il diverso addirittura come una risorsa, riportando l’opposto all’Ego come metro di misura del suo valore
e arricchimento. Il rapporto con l’Altro sembra essere all’origine
dell’esperienza. Dunque, comprendere che c’è ora e ci sarà sempre “un diverso
dall’Io” non sarebbe l’antidoto al preconcetto, al narcisismo dell’Ego e al veleno della paura?
La scissione è strutturale. Quindi, ha senso ossessionarsi a un’identità anche culturale che non possa essere oggetto al cambiamento, ma soprattutto all’incontro con l’Altro? Spunti di riflessione ci sono forniti da Ugo Volli nell’articolo Identità richiamando a un Io-ipse che si apre senza paura al cambiamento, contrariamente all’Io-idem, cioè “il medesimo” che rimane chiuso in se stesso. Nel saggio Esiste una cultura straniera?, Gian Paolo Caprettini incita all’interazione con l’Altro continuamente messa alla prova, considerando l’estraneità come un punto di arrivo.
Veronica Zanella
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