Il cortocircuito identitario dell'uomo post-moderno
“Niente identità, niente radici, niente tradizioni neppure inventate, i localismi nazionali o comunali sono tutti reazionari, siamo tutti felicemente anonimi” scrive Ugo Volli. E ha ragione, ma purtroppo non finisce qui.
Negli ultimi anni si è parlato molto di identità, in relazione al genere, alla religione, all’etnia o, come suggeriscono i cultural studies, in base all’appartenenza sociale, politica e culturale. Ma cosa accadrebbe se focalizzassimo la nostra attenzione sul mercato? Nella sua riflessione, infatti, Volli non manca di citare la globalizzazione in quanto processo di uniformità generale che produce sentimenti codificati, miti e riti collettivi.
Immerso nell’era dell’informazione, non è l’essere umano a ricercarla, ma il contrario. La pubblicità occupa il nostro feed Instagram e interrompe i nostri video preferiti su YouTube. Le news, una volta prerogativa dei telegiornali, ora si sono evolute e pur di intercettarci si travestono da meme per risultare più accattivanti.
Zygmunt Bauman parla della società occidentale in termini di tecno-liquidità. La liquidità rimanda a qualcosa che scorre ininterrottamente, come l’informazione. Il prefisso tecno riguarda la ormai conclamata simbiosi con il cellulare.
È il destino dell’uomo post-moderno che dissemina la propria identità su più piattaforme, quali i social network. Moltiplicandola sarà poi in grado di scegliere quale sarà meglio indossare in base alla situazione in cui ci si troverà. Potremmo quindi dire che l’individuo attuale possiede un’identità cangiante, ma che questa mantenga una serie di tratti comuni.
L’essere umano, ormai privo di riferimenti stabili, è soggiogato al mercato del consumo che offre la risposta a tutto. A cosa serve impegnarsi in una relazione duratura quando esiste Tinder? È come andare al supermercato, ma scegliendo le persone al posto dello shampoo. Tutto questo si tramuta in un appiattimento del gusto degli utenti, che per essere come gli altri si omologano nel comportamento. L’uomo post-moderno è bombardato da offerte low cost per occupare il tempo libero con esperienze usa e getta che non lo appagano pienamente. Un circolo vizioso che non accenna a rallentare, figuriamoci a fermarsi.
Di fatto l’identità non viene ricercata dentro di sé, quanto al di fuori. Nei brand di vestiti e cosmetici, nei posti in cui si mangia e nelle lotte sociali per cui ci si schiera. L’identità è sempre la risultante di un’appartenenza collettiva in cui l’omologazione è necessaria. E quale miglior luogo dove cercare i propri compagni se non il web? Le relazioni di oggi si sono trasformate in connessioni, perché è più semplice disconnettersi. Tuttavia l’essere umano di oggi non si disconnette mai. Anzi, proprio a causa di questa impossibilità, non riesce a evadere dal circuito consumista che infine lo delude.
La discussione sull’identità non si arresterà e forse è
giusto così, ma è necessario ragionare sui motivi che hanno portato alla nostra
anonimità, sia nel suo
essere sia nel suo
fare. L’illusione del XXI secolo è quella di credere di essere speciali, ma, guardando bene, siamo tutti
uguali: utenti interconnessi sparsi nel mondo.
Antonio Verlino
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