Il catfishing e l’identità di chi vuole non essere visto
Come sostenuto da Umberto Eco, “avere un nemico è importante per definire la nostra identità”; ma se quel nemico fosse proprio la nostra identità? Da sempre, per molte persone, apparire è una condizione imprescindibile e oggi i social network sono il luogo perfetto in cui mostrare la propria immagine, ricevendo gratificazione e consolidando la sicurezza in noi stessi. Ognuno però reagisce all’esposizione mediatica in modo diverso e la pressione sociale ci può spingere a nasconderci dietro false identità.
Nel mondo dei social, la pratica del catfishing determina la costruzione di un profilo falso che, fungendo da maschera, permette all’utente di fingersi qualcun altro. L’identità dell’autore empirico viene nascosta in virtù dell’anonimato che installa una maggiore sicurezza durante le interazioni, soprattutto se di natura sentimentale, con altri utenti. Questo fenomeno ha acquisito notorietà anche grazie all’omonimo programma statunitense Catfish. False identità, trasmesso per la prima volta in Italia nel 2013. In seguito, la parola catfish è stata usata anche per indicare chi abusa di filtri e di programmi di fotoritocco proprio perché l’immagine pubblicata, seppur appartenente a un profilo reale, non rispecchia del tutto la realtà.
I social rappresentano una nuova disposizione degli spazi sociali, o come direbbe Ugo Volli, dei non-luoghi in cui le persone interagiscono e dove si acquisiscono nuovi concetti di identità. Queste identità sono quindi influenzate e condizionate dai social stessi che contribuiscono a propinare standard di bellezza irraggiungibili. Certamente il fenomeno della globalizzazione ha favorito un’omologazione culturale anche per quanto riguarda gli usi e i costumi. I canoni estetici occidentali si sono irrigiditi favorendo una determinata tipologia di corpo che il singolo si è sentito in dovere di rispecchiare. Di conseguenza, il mancato rispetto di queste norme estetiche ha innescato la pratica del body shaming. Possiamo quindi considerare il catfishing come una risposta a queste imposizioni, ed ecco che il mezzo stesso attraverso il quale cerchiamo di ricevere approvazione diventa nostro nemico.
I social sono il nuovo palcoscenico dove rappresentare la
vita e, come asserito da Erving
Goffman, la nostra entrata in scena determina nel pubblico un contesto di
aspettative. Le persone che praticano catfishing
temono di non riuscire a soddisfarle, e si nascondono dietro una maschera socialmente accettabile e
accettata. Nella riflessione di Gian Paolo Caprettini emerge quanto la nostra identità dipenda soprattutto
da noi stessi: nel soggetto catfish
si instaura un voler non essere visto
che al contempo gli
permette di riconoscere e comprendere la sua vera identità.
Alessandra Pelliccia
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