Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Il caso del turbante Gucci: forma di apprezzamento o di appropriazione culturale?

Durante la Milano Fashion Week 2018, la casa di moda italiana Gucci ha presentato in passerella un capo simile al Dastaar, un tradizionale copricapo religioso indiano. Nel corso della sfilata il turbante è stato indossato da modelli caucasici che poco rappresentavano i Sikh, la comunità religiosa indiana per la quale il copricapo simboleggia l'onore, il rispetto di sé, il coraggio e la pietà. Subito dopo l’evento, il brand è stato accusato di appropriazione culturale e di aver decontestualizzato e oggettificato un elemento sacro di una cultura minore trasformandolo in un accessorio di moda.

Ma cosa si intende per appropriazione culturale? È ciò che avviene quando una cultura dominante si impadronisce di elementi e contenuti appartenenti a un’altra cultura privandoli del proprio valore storico o religioso. È comune che, durante questo processo, entri in gioco anche un retaggio coloniale.

Questo fenomeno può essere osservato facendo riferimento ai concetti di cultura e identità. Come scrive Gian Paolo Caprettini in un articolo in cui riflette sulla cultura straniera, è un errore credere che la cultura sia una zona dell’attività umana astratta e ininfluente sugli andamenti storico-economici; così come è fuorviante credere che la cultura non possa riferirsi a prodotti specifici e commerciabili. Riprendendo Jurij M. Lotman, l’autore introduce il concetto di semiosfera: una realtà complessa che richiede dialogo e reciprocità, nati dal bisogno di tradurre continuamente ciò che arriva dall’esterno. La nostra identità, quindi, dipende “dal tipo di traduzioni che compiamo e dalla capacità che abbiamo di farle comprendere agli altri”.

Nel caso Gucci è probabilmente mancato questo dialogo: il fatto che dei modelli bianchi indossassero un oggetto sacro in passerella ha reso ancora più evidente il divario tra i Sikh, discriminati quotidianamente proprio perché portano quel turbante, e il mondo occidentale, che può utilizzare quello stesso capo come se fosse un accessorio di alta moda. Il turbante è stato messo in vendita al prezzo di 790 euro: così un oggetto che incarna i valori di fede e purezza è diventato un bene da distribuire sul mercato. A questo proposito, alcuni tra i Sikh hanno espresso il proprio dissenso tramite i social portando alla luce sia la discriminazione e l’emarginazione di cui sono vittime i membri della comunità, sia il controsenso di vendere a una cifra esorbitante un turbante che dovrebbe esprimere l’uguaglianza.

Gucci non è il primo brand che utilizza elementi provenienti da culture diverse in nome del multiculturalismo, bisogna però comprendere se questo multiculturalismo sia fondato sulla contemplazione e appropriazione della diversità o sulla sua reale comprensione. Come evidenzia Ugo Volli, quando riflette sulla tendenza odierna all’omologazione, “è forse il caso di recuperare l’identità, senza ossessioni, ma per riuscire a sopravvivere nell’omologazione del mercato globale e nella grande burocratizzazione prodotta dall’informatica”.

Il clamore causato dalla sfilata di Gucci può essere interpretato come un’ulteriore espressione di questa contraddizione tra identità e cultura, omologazione e specificità, apprezzamento e appropriazione culturale.

Alice Usala

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