Il caso del turbante Gucci: forma di apprezzamento o di appropriazione culturale?
Durante la Milano Fashion Week 2018, la casa di moda italiana Gucci ha presentato in passerella un capo simile al Dastaar, un tradizionale copricapo religioso indiano. Nel corso della sfilata il turbante è stato indossato da modelli caucasici che poco rappresentavano i Sikh, la comunità religiosa indiana per la quale il copricapo simboleggia l'onore, il rispetto di sé, il coraggio e la pietà. Subito dopo l’evento, il brand è stato accusato di appropriazione culturale e di aver decontestualizzato e oggettificato un elemento sacro di una cultura minore trasformandolo in un accessorio di moda.
Ma cosa si intende per appropriazione culturale? È ciò che avviene
quando una cultura dominante si impadronisce di elementi e contenuti
appartenenti a un’altra cultura privandoli del proprio valore
storico o religioso. È comune che, durante questo processo, entri in gioco
anche un retaggio coloniale.
Questo fenomeno può essere
osservato facendo riferimento ai concetti di cultura e identità.
Come scrive Gian Paolo Caprettini in un articolo in cui
riflette sulla cultura straniera, è un errore credere che la cultura sia una
zona dell’attività umana astratta e ininfluente sugli andamenti storico-economici; così come
è fuorviante credere che la cultura non possa riferirsi a prodotti specifici e
commerciabili. Riprendendo Jurij M. Lotman, l’autore introduce il concetto di
semiosfera: una realtà complessa che richiede dialogo e reciprocità, nati dal bisogno di tradurre continuamente ciò che arriva dall’esterno. La nostra identità, quindi, dipende “dal tipo di traduzioni che compiamo e dalla capacità che abbiamo di farle comprendere agli altri”.
Nel caso Gucci è probabilmente
mancato questo dialogo: il fatto che dei modelli bianchi indossassero
un oggetto sacro in passerella ha reso ancora più evidente il divario tra i
Sikh, discriminati quotidianamente proprio perché portano quel turbante, e il
mondo occidentale, che può utilizzare quello stesso capo come se fosse un
accessorio di alta moda. Il turbante è stato messo in vendita al prezzo
di 790 euro: così un oggetto che incarna i valori di fede e
purezza è diventato un bene da distribuire sul mercato. A questo proposito,
alcuni tra i Sikh hanno espresso il proprio dissenso tramite i
social portando alla luce sia la discriminazione e l’emarginazione di
cui sono vittime i membri della comunità, sia il controsenso di vendere a una cifra
esorbitante un turbante che dovrebbe esprimere l’uguaglianza.
Gucci non è il primo brand che utilizza elementi
provenienti da culture diverse in nome del multiculturalismo, bisogna
però comprendere se questo multiculturalismo sia fondato sulla contemplazione e
appropriazione della diversità o sulla sua reale comprensione. Come evidenzia Ugo Volli, quando riflette sulla tendenza odierna
all’omologazione, “è forse il caso di recuperare l’identità, senza ossessioni,
ma per riuscire a sopravvivere nell’omologazione del mercato globale e nella
grande burocratizzazione prodotta dall’informatica”.
Il clamore causato dalla sfilata di Gucci può essere
interpretato come un’ulteriore espressione di questa contraddizione tra
identità e cultura, omologazione e specificità, apprezzamento e
appropriazione culturale.
Alice Usala
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