L’identità individuale online, tra originalità e omologazione
Cosa significa avere un’identità ben definita? Quali sono i dettagli che permettono di fare emergere il singolo dalla massa? Chi sono gli altri? Cosa distingue una personalità unica?
Queste sono alcune delle domande che è possibile porsi nel momento in cui si cerca di mettere a fuoco il proprio sé all’interno di un panorama globale come quello di un social network. Ogni individuo sente il bisogno di creare un proprio profilo, ovvero un nuovo spazio dove poter esprimere se stesso, e in esso, come sostiene Gian Paolo Caprettini, mette in gioco i propri orizzonti. Al contempo egli si ritroverà circondato da altri utenti con uguali esigenze ma differenti interpretazioni degli universi simbolici. Basti pensare ai numerosi influencer che cercano di ricavarsi una nicchia di mercato e alla platea di utenti che li segue.
Ma quanto di quello che si posta è effettivamente il riflesso delle caratteristiche individuali? Gli elementi che costituiscono un post su Instagram: un abito, un paesaggio, una ricetta culinaria appartengono a un preciso universo culturale e allo stesso tempo rimandano a ulteriori filiere produttive. Quando si ripropone un trend al proprio pubblico si esplicita la necessità di tradurre quanto proviene dall’esterno e con ciò ci si appropria dei codici altrui, uniformandosi. Si assimilano elementi che appartengono a culture differenti e li si integra all’interno del proprio sistema di valori. Si cerca di interpretare le differenze di questa rivoluzione simbolica.
Il rischio è che, in alcuni casi, i contenuti proposti risultino molto simili tra loro. La platea di utenti indossa i grandi brand della fast fashion, utilizza gli stessi smartphone in tutto il mondo e si rifà ai medesimi canoni estetici. In questo modo si realizza l’uniformità asserita da François Jullien. Dato che, come mostrato nella riflessione di Ugo Volli, quando ci si trova in un non-luogo come un aeroporto o nella sezione feed di un social network è quasi impossibile notare le identità semplici. Sempre Ugo Volli sostiene che queste, insieme a quelle collettive, sembra siano diventate nemici tanto temuti da una cultura europea che subisce l’influenza della globalizzazione. Di fatti, può accadere che quanto sia estraneo a un preciso universo valoriale venga percepito come minaccioso, additato e respinto. Si innesca così il meccanismo di costruzione del nemico descritto da Umberto Eco e si costituisce un sistema di valori da confrontare con quello d’appartenenza.
Nonostante ciò, si potrà notare come l’universo simbolico sia limitato e ricorrente: i sentimenti hanno dei loro codici e i miti sono universali. Ritrovare un’identità, sia essa individuale o collettiva, è necessario per non cedere al meccanismo di omologazione del mercato globale. La cultura nei termini di Jurij Lotman e l’identità in quelli di Paul Ricoeur sono costituite da continuità e al contempo di cambiamenti. Eppure, l’identità individuale non esiste, la si definisce costruendo l’alterità.
Alessandra Agate
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