Semio-teca è il blog didattico del Laboratorio (2) di scrittura della Laurea Magistrale in Semiotica dell'Università di Bologna. Curato dal docente Antonio Laurino, raccoglie e presenta gli elaborati prodotti dalle studentesse e dagli studenti durante le diverse edizioni del corso, a partire dall'a.a. 2018/2019. I testi che ospita, redatti individualmente o in coppia e oggetto di discussioni critiche collettive, affrontano, da una prospettiva semiotica, temi ed eventi politici, culturali, artistici e mediatici, hanno carattere essenzialmente commentativo e sono rivolti a un pubblico interessato ma non specialista.

Il dialetto: ultimo baluardo dell’identità degli italiani

Viviamo in un mondo dove la globalizzazione ha ormai intaccato ogni aspetto della nostra vita, appianando quelle differenze che ci caratterizzavano come identità uniche e speciali. Tutti, da Nord a Sud Italia, guardiamo le stesse serie tv, leggiamo gli stessi libri, indossiamo gli stessi vestiti, seguiamo gli stessi influencer e parliamo la stessa lingua. In realtà non proprio la stessa lingua; forse questo aspetto salva ancora gli italiani dalla totale omologazione.

Dall'oblio del passato…

Quando si fa riferimento alla cultura italiana ci si sofferma soprattutto sul buon cibo, sui luoghi caratteristici, sull’indole dei suoi abitanti ecc. ma a tutti sfugge sempre un aspetto più impalpabile ma ugualmente molto importante: il dialetto. I dialetti italiani fanno parte della nostra cultura da secoli eppure la storia non ne rende adeguata giustizia relegandoli a un uso esclusivamente popolare e, quindi, non degno di essere studiato e approfondito. In particolare, dopo l’Unità d’Italia la storia e la scuola italiana hanno cercato di ostracizzare l’uso del dialetto considerato ormai l’unico ostacolo alla completa italianizzazione del paese. In seguito ci si è accaniti sempre di più contro di loro fino a raggiungere l’apice durante il fascismo quando Mussolini vietò l’utilizzo della lingua dialettale a favore di quella italiana poiché mal si prestava al suo progetto di nazionalizzazione. Sembra, quindi, che la nascita dell’identità italiana abbia da sempre escluso i dialetti considerandoli spesso causa di frammentazione.

…all’odierna rivalutazione

Finalmente, oggi, è cambiata la situazione dei dialetti i quali, come afferma Alberto Sobrero nel suo articolo Dialetti ‘coperti’ e ‘riscoperti’, “conoscono la gloria, quasi postuma, della celebrazione letteraria, della considerazione scientifica, persino del protagonismo nella scuola”. La loro ‘riscoperta’ ha fatto sì che gli italiani ritrovassero quell’identità perduta andando a rafforzare il rapporto con la propria tradizione e con la propria terra. Come scrive Ugo Volli in Identità – Essere uguali ma non omologati, “l’identità, spiegava Ricoeur, è fatta di “idem”, di continuità fisica (quella persona, quel gruppo umano collocato nello spazio nel tempo o nella produzione), ma anche di “ipse”, di proprietà, di costumi, di desideri, soprattutto di memorie.”

Anche se oggi non vengono più utilizzati come un tempo, i dialetti ci ancorano alla nostra identità attraverso l’uso di termini molto antichi ma entrati a far parte del gergo giovanile o di vecchi proverbi che ogni tanto ci ripete la nonna o, ancora, di qualche speciale cantilena. Tramite questi piccoli elementi riusciamo non solo a mantenere viva la nostra identità ma anche a far sì che essa venga riconosciuta dagli altri. Essere riconosciuti come diversi ci rende originali e ci fa emergere dalla massa omologata nella quale siamo invischiati.

Per questo motivo, oggi più che mai, è essenziale tenere in vita i dialetti poiché la loro morte non implicherebbe solo la perdita di una lingua ma anche la perdita della nostra identità rendendoci ancora di più quelle che Volli chiama le “identità semplici” che altro non sono se non oggetti “uguali dappertutto, come i sentimenti codificati, i miti e i riti collettivi”.

Germana Iacono

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