Esiste una cultura europea?
Firmare accordi politico-economici e abbattere le frontiere per creare una comunità internazionale non comporta necessariamente la formazione di una cultura omogenea. Questo è quanto accaduto negli ultimi 50 anni in Europa. Nonostante i conflitti mondiali, le tensioni e le alleanze in grado di creare un insieme di esperienze pregresse condivise, il progetto di costruire una cultura europea non ha riscosso i risultati sperati.
Ispirati dai principi del modello americano,
alcuni dei più grandi politici europei degli anni Cinquanta e Sessanta hanno gettato
le basi per un sistema dinamico di cooperazione economica e politica fra i
paesi. A tale progetto si è progressivamente accostato il tentativo di
costruire un’identità e una cultura europea che coinvolgessero i
cittadini dei paesi membri. Tutto ciò, purtroppo, non si è mai completamente realizzato.
Quella che ad oggi consideriamo la cultura
europea, se così possiamo definirla, non è altro che un agglomerato
incostante di paradigmi differenti. Come sottolinea
Ugo Volli, le
identità non sono puramente fatti storici o etnici, ma presentano anche caratteri
sociali, politici, culturali, religiosi. E tali costruzioni sono dotate di
vitalità e capacità d’azione. Queste presentano differenze, estese nei diversi
paesi, che hanno impedito una costruzione omogenea della cultura europea, contrastata
dalle singolarità identitarie.
Inoltre, è innegabile che il paradigma europeista
sia stato spesso osservato come una minaccia alle culture nazionali. Riprendendo
quanto
analizzato da Umberto Eco «vengono costruiti come nemici non tanto i diversi che ci minacciano
direttamente [...] bensì coloro che qualcuno ha interesse a rappresentare come
minacciosi anche se non ci minacciano direttamente, [...] così che la loro
diversità diventi segno di minacciosità». La paura di uniformarsi a un
carattere generalista e sovranazionale è stata frequentemente cavalcata dalle
correnti antieuropeiste, alimentando le identità locali. Questo è avvenuto in
tutti i paesi membri, certificando una difficoltà contro cui non vi è ancora alcuna
soluzione.
Osservando quella che oggi viene definita cultura
europea risalta all’istante una grave mancanza: l’assenza di strumenti in grado
di tradurre gli elementi delle diverse culture, in modo da poter assegnare
loro un carattere di universale condivisione. È venuta meno l’integrazione
delle componenti al fine di creare quella che Jurij Lotman definisce la
semiosfera. Con tale termine s’intende l’insieme delle conoscenze che
costantemente si confrontano con ciò che si trova esternamente: persone,
valori, notizie e informazioni da scoprire, tradurre e inglobare al proprio
interno. Facendo un esempio la cultura europea è una riproduzione di quanto
avviene in Danimarca fra il mar Baltico e il mare del Nord: essi si toccano senza
mai mischiarsi fra di loro. Questo è quanto avviene tra le varie culture
nazionali: mari differenti che si sfiorano senza formare una cultura omogenea attraverso
il confronto e il riconoscimento reciproco.
Concludendo, ciò che viene considerata la cultura europea è più un miscuglio di idee, identità e abitudini differenti non amalgamate. Difatti non si è giunti alla creazione di un retroterra di riferimento per i cittadini, ancora radicati alle singole provenienze e lontani dal sentirsi culturalmente europei.
Carmine Ciro Di Maiolo
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