Di come il linguaggio plasmi cultura e identità delle comunità indigene
Il linguaggio rappresenta forse il modo principale attraverso cui gli uomini pensano e interagiscono tra loro, andando a costituire una componente fondamentale della cultura: costruisce l’identità di una comunità e dei singoli membri al suo interno; consente la costruzione di ciò che è altro, permettendo di definire ulteriormente l’identità degli individui per opposizione, partendo proprio da ciò che non sono.
Secondo l’antropo-linguista
Daniel Everett, il linguaggio può essere considerato uno strumento
al servizio della cultura.
Se è vero, dunque, che
l’identità di un individuo è inevitabilmente connessa alla cultura in cui
questa si inserisce, è altrettanto vero che l’identità è definita, seppur in
parte, dal linguaggio.
Tali considerazioni
trovano prova empirica negli studi condotti da diversi linguisti in merito a svariate
comunità indigene.
Lo studio
condotto dal linguista Guy Deustcher ha dimostrato come la tribù aborigena Guugu
Ymithirr, originaria del Queensland, esprima informazioni spaziali
attraverso i punti cardinali: anziché dire “Puoi spostarti alla mia sinistra?”,
diranno “Puoi spostarti a ovest?”. L’analisi ha dimostrato come la comunità Ymithirr
sviluppi una sorta di bussola interiore sin dai primi anni di età.
Gli individui
appartenenti a questa comunità, prosegue lo studio, saranno dunque in grado di orientarsi
nello spazio con più semplicità rispetto agli occidentali, sviluppando
maggiori capacità di navigazione e di memoria spaziale.
L’esempio della popolazione
Ymithirr calza a pennello: le specificità della loro lingua hanno influenzato
inevitabilmente lo sviluppo e la cultura della comunità, che basa il suo
sostentamento sulla caccia e sulla pesca, due pratiche in cui fini abilità di
orientamento e di navigazione possono fare la differenza tra la vita e la
morte.
Il secondo studio, ancora
svolto da Everett, riguarda la lingua parlata dalla popolazione Pirahã,
una tribù indigena localizzata in Amazonia: gli esperimenti condotti dal
linguista hanno infatti dimostrato come la lingua parlata dalla comunità sia
priva di un sistema numerico.
Sistemi linguistici come
quelli presi qui in esame permettono di fare alcune considerazioni: da un lato,
una comunità la cui lingua non concepisce una cognizione numerica avrà
inevitabilmente una visione dell’individualità – e dunque dell’identità
– ben diversa da quella delle società occidentali. L’ossessione
per l’identità, cui fa riferimento Ugo Volli, è perciò
una caratteristica della cultura occidentale e lascia il posto, in tantissime
comunità indigene, a una identità collettiva espressa non solo
culturalmente ma, come dimostrato, anche linguisticamente.
Dall’altro lato vale la pena citare Gian Paolo
Caprettini che, in un articolo in riferimento alla cultura
straniera, riprende la ricerca di Émile Benveniste secondo cui
la lingua rappresenta il sistema simbolico dominante, «capace di
condizionare e organizzare qualsiasi istituzione sociale e dunque anche il
reticolo delle simbolizzazioni, dei valori condivisi, cioè la cultura».
L’autore prosegue affermando che «la stessa esperienza non può avere
significato se non incontra una lingua che la sostenga, che le permetta di
svilupparsi e di essere successivamente narrata».
Nel caso della tribù Pirahã risulta evidente come l’esperienza di un’identità individuale non ritrovi un riscontro nel suo linguaggio, mentre nel caso della tribù Ymithirr, il suo linguaggio favorisce e anzi intensifica l’esperienza dell’orientamento nello spazio. Le condizioni in cui le due lingue si sviluppano saranno dunque alla base di una formazione di culture e identità differenti.
Paolo Ruta
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