Caso Sofagate: incidente diplomatico o questione di identità?
L’incontro istituzionale di Ankara si è trasformato in uno sgarbo diplomatico ribattezzato #Sofagate. All’arrivo dei rappresentanti europei, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha infatti invitato il presidente del Consiglio Charles Michel a prendere posto nell’unica sedia predisposta accanto a sé, lasciando in piedi e visibilmente imbarazzata la presidentessa della Commissione, Ursula von der Leyen; quest’ultima è stata poi fatta accomodare su un divano a diversi metri di distanza dal collega.
Due problemi
L’atto machista perpetrato ha inevitabilmente ricevuto
risonanza internazionale e scatenato l’indignazione di tutti gli Stati membri. Il
forte valore simbolico del gesto ha messo in luce due diversi problemi: il
mancato riconoscimento dei diritti delle donne e la fragilità delle
istituzioni europee. Il trattamento turco riservato a von der Leyen non
sorprende: negli ultimi anni la Turchia ha attuato politiche nazionalistiche
che non lasciano ben sperare sul fronte dei diritti, tra cui l’annuncio del
proprio ritiro dalla convenzione di Istanbul. L’opinione pubblica ha aspramente
criticato l’indifferenza del presidente del Consiglio Michel di fronte al
disagio della collega, una immobilità che riflette le difficoltà europee, ne
mina la rappresentanza e l’identità.
Il vero nemico
All’interno della stessa UE, diversi partiti invocano
il blocco dei finanziamenti comunitari alla Turchia, arrivando a legittimare i
ritardi della sua annessione in ambito europeo.
Come può farne parte se non rispetta i
principi fondamentali dell’Unione né i suoi rappresentanti?
Si potrebbe imputare alla sola Turchia tutta la responsabilità della vicenda, ma così facendo ci si dimenticherebbe dell’avallo concesso dai nostri rappresentanti, un silenzio istituzionale che parla del modo in cui vengono trattati i nostri stessi valori. È nell’alterità che si stabilisce la nostra identità, è nello scontro con l’altro che si definisce il proprio sistema valoriale. Secondo Umberto Eco, c’è sempre bisogno di un nemico la cui diversità diventi segno di minacciosità. Nel caso Sofagate sembra che il vero nemico dell’UE sia la stessa UE.
“Nella cultura europea è emerso da qualche tempo un nuovo nemico: l’identità, individuale ma soprattutto collettiva” (Ugo Volli). Nelle immagini dell’incontro, la distanza tra von der Leyen e Michel diviene il simbolo della lontananza da quei principi su cui l’Unione è fondata. Viene meno l’uguaglianza formale e sostanziale, il soffitto di cristallo viene risistemato al suo posto mentre la suddivisione dei ruoli non si fa portavoce di rappresentanza ma di antagonismo, mostrando la fragilità di un sistema istituzionale che fatica a essere e sembrare unito.
Le identità non sono solo fatti ma anche
costruzioni sociali. Ricoeur definiva infatti l’identità
come l’insieme di idem e ipse, condizione di continuità e
cambiamento in cui è necessario il riferimento a un soggetto collettivo nella
propria storia e memoria (Ugo Volli). Proviamo dunque a credere che la nostra identità europea dipenda dal
tipo di traduzioni, ossia il modo in cui riadattiamo le informazioni provenienti
dall’esterno, e dalla nostra capacità di farle capire agli altri (Gian Paolo
Caprettini).
Ilaria Tesconi
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