"Birth in 21st Century": i diritti riscoperti del parto
Tra i progetti finalisti del World Press Photo 2021, nella categoria Digital Storytelling Contest, Interactive of the Year, ha colpito la nostra attenzione un video che affronta un tema piuttosto difficile da raccontare: il parto. Realizzato dalla società di produzione spagnola Barret Cooperativa, Birth in the 21st Century è un documentario interattivo che mostra senza filtri l’esperienza unica della nascita, fornendo tutte le informazioni necessarie al benessere della donna e del bambino.
Il video, suddiviso in sei capitoli, racconta le storie di cinque donne durante la gravidanza e il parto all’interno dell’ospedale universitario La Plana. Questa struttura si avvale di un team di ostetriche specializzato in un supporto più umano e rispettoso nei confronti della donna e dei suoi diritti.
In ogni sezione lo spetta(t)tore può interagire compilando un questionario sulle proprie scelte che dovranno essere rispettate durante il parto. Le domande sono inoltre accompagnate da brevi video in cui gli esperti forniscono maggiori informazioni su ogni fase. Tramite un bottone si possono comparare le esperienze del parto prima e dopo l’emergenza del coronavirus.
A un’attenta
osservazione del documentario emergono categorie semantiche ricorrenti, dette isotopie.
Il corpo femminile è una di queste fin dal titolo, composto dalla
scritta rosa Birth con accanto una parentesi tonda a imitare la
sporgenza del pancione. Il corpo è sempre protagonista delle inquadrature ed è costantemente
accompagnato dalla voce delle cinque donne, mettendo al centro di tutto la padronanza
del proprio corpo e la consapevolezza delle proprie esigenze,
sensazioni, aspettative e difficoltà.
Anche la trasparenza, il rispetto e l’informazione costituiscono un fil rouge semantico che si concretizza attraverso immagini dai colori caldi, poco saturi e
luminosi, e tramite una regia discreta ma che non omette nessun dettaglio permettendo
all’utente di vedere chiaramente un processo sì privato, ma su cui si sta
adottando uno sguardo “sanitario” e più informativo possibile.
Le protagoniste vengono inoltre intervistate e, guardando in camera, ci restituiscono direttamente la loro testimonianza su un percorso naturale ma rischioso, durante il quale spesso si ignorano i propri diritti e le informazioni fondamentali per affrontarlo in modo consapevole e sereno.
Da un punto
di vista semiotico, lo sguardo in camera delle donne genera un embrayage,
cioè il ritorno all’istanza di chi produce il testo (in questo caso il
documentario) che solitamente rimane nascosta, costruendo in esso un io, qui
e ora diversi da quelli reali di chi lo ha prodotto. In questo caso,
l’alternanza di riprese e interviste, fa sì che si rompa questa illusione e che
lo spettatore sia sempre cosciente della realtà dei fatti.
Un altro embrayage
è riprodotto dalle scritte laterali che in alcuni momenti interpellano l’utente
dandogli la possibilità di mettere una crocetta sulle varie opzioni del
questionario.
Infine, possiamo
notare come l’equipe medica rimanga solo una figura di guida per le pazienti
che vi si sono affidate, rispettando le loro scelte e il loro corpo. L’intento
di Birth è dunque quello di restituire
un’immagine di donna forte, in grado di gestire e di riappropriarsi consapevolmente
dell’atto straordinario che è il parto.
Ludovica Giannetti e Germana Iacono
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